miracoli da banco

 “Sale dell’Himalaya: il miracolo rosa che non ti salva l’anima, ma ti svuota il portafogli”

Cari avventori dell’Osteria di Fuori Porta,
mettete giù il vostro cucchiaio di lenticchie e tirate su le antenne: oggi si parla di sale himalayano, quello rosa, esotico, misterioso, che pare raccolto da monaci tibetani in stato di levitazione mistica, mentre recitano litanie insanscrito sotto una cascata di chakras.

Il sale più puro al mondo… con 84 minerali inutili

Ci raccontano che il sale himalayano contiene 84 minerali, e chi siamo noi per contraddirli? Dopotutto, contiene anche uranio, piombo e arsenico: mica pizza e fichi! Però tranquilli, sono in micro-tracce, giusto quanto basta per sentirsi radioattivi con eleganza.

Il sale rosa non ha lo iodio aggiunto? Ottimo! Così possiamo tornare al glorioso periodo dello scorbuto e del gozzo, come nel ‘700, quando l’unico detox era morire a 35 anni dopo una vita a base di brodaglie e superstizione.

L’alternativa spirituale al sale dei poveri

Mentre il sale da cucina, bianco, triste, impiegato e privo di glamour, viene bullizzato come “raffinato” (che in cucina è peggio che essere definito “colonialista”), il sale himalayano è ormai diventato simbolo di status spirituale.
Non lo metti sul cibo: lo spruzzi nell’aura.

Hai visto mai che una spolverata sul risotto apra il terzo occhio e risolva anche il mutuo.

Il marketing zen: dal salino alla spa

Questo cristallo rosa non è solo un condimento. È una lampada, un sapone, un cuscino cervicale, una candela. Fra poco uscirà anche in formato assorbente interno: regala equilibrio, benessere e una vaga sensazione di essere caduti in una pubblicità di deodoranti.

Chi lo vende ti guarda dall’alto del suo tappetino di yoga, con la superiorità morale di chi ha capito tutto della vita, tranne la differenza tra una molecola di NaCl e una palla di fumo.

Conclusione: sale sì, ma di zucca

Il sale rosa dell’Himalaya, diciamocelo, è il vino frizzante delle spezie: piace perché è bello, fotogenico e fa scena. Ma come il prosecco servito in calice da ballo, lascia un retrogusto di presa in giro, soprattutto se lo paghi 30 euro al chilo convinto che guarisca la nonna dall’artrite.

Alla fine, che sia bianco, rosa o arcobaleno, il vero problema non è il sale, ma chi te lo vende con un sorriso da santone e un listino da gioielleria.

E allora brindiamo con un bicchiere di rosso vero, quello sfuso e sincero dell’osteria, e lasciamo ai guru il loro sale magico. Noi, al massimo, ce lo mettiamo sulla fetta di pane e pomodoro.


 

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